Ieri un mio amico, General Manager di una multinazionale olandese investita (come quasi tutti i settori ed aree di business) dal perdurare della crisi causata dal COVID-19, mi ha detto che “questa situazione, oltre che a causare uno tsunami che metterà in seria difficoltà il nostro Paese, le industrie e la quotidianità delle persone, potrà anche rappresentare un’opportunità per tutti per mettersi in discussione.
Ed in particolare, per le aziende, per guardarsi al loro interno e capire cosa e come potrebbero migliorare, visto che molti meccanismi vitali delle aziende sono rallentati o in ferma, come le funzioni commerciali ed operations”.
Ho riflettuto bene prima di scrivere questa breve riflessione e non mi permetto di entrare nel merito di una discussione “tecnica” sul coronavirus (Jurgen Klopp, tre giorni fa, ha detto tutto quello che un non-medico/virologo/biologo può esprimere sul tema, secondo me).
Questo perché parlare di “opportunità” là dove il clima attorno a noi, più che giustificatamente, rappresenta più tempesta che raggi di sole e visto che la situazione in data odierna sembra anche peggiorare, potrebbe essere anche un auto-goal clamoroso.
Però, qui la mia indole da inguaribile ottimista, grazie al cielo calmierata da colleghi ed amici ben saldi nel realismo, mi spinge ad una riflessione professionale: è vero che quest’onda anomala chiamata COVID-19, imprevista ed imprevedibile, travolgerà le aziende per come sono organizzate oggi, ma in fondo credo che una base di realtà nel vedere anche del “buono” prospettico, ci sia.
Perché il COVID-19 stravolgerà i nostri attuali modelli?
Al di là del panico scatenato dal rischio di una salute pubblica globale compromessa da un’emergenza non ancora ben definita, il tema, come faceva notare qualche giorno fa anche Elsa Fornero, impatterà sugli approvvigionamenti dei materiali provenienti dall’Asia e dalla Cina in particolare, materiali prodotti in APAC ma per essere assemblati o venduti in tutto il resto del mondo (molti fornitori di primo livello che hanno sede in Italia, ad esempio, dipendono dalle materie prime e da componenti made in China, questo dalla meccanica all’elettronica) e questo a cascata potrà compromettere la capacità produttiva della cara vecchia Europa manifatturiera, ma che negli anni ha delocalizzato o terziarizzato pesantemente alcune commodity o produzioni di secondo e terzo livello.

D’altro canto, la Cina e l’Asia in generale sono tra i mercati di approdo principali dei beni di consumo occidentali: da Piemontese, parlo non solo delle automobili europee ed americane vendute nel Catai, ma anche di altri settori che, anche se meno in crisi nell’immaginario collettivo, ne sono impattati in senso negativo, eccome: i Luxury Goods, il settore dei Fast Mover ed in particolare il Food&Beverage (premium e non), in primis.
Questo, contestualmente ad un clima di instabilità nelle Borse internazionali e di sempre più cauta fiducia da parte dei Big Investor internazionali, immobili in attesa che questa tempesta passi, ma senza visibilità della fine di questo periodo di “quarantena”.
D’altro canto, riflettere su nuovi modelli organizzativi (il sociologo De Masi, un mese fa, scriveva della crisi del COVID-19 come un’occasione per le economie occidentali e mondiali di sperimentare a livello massiccio telelavoro e smart-working, grazie al supporto di tutti i tool digitali oggi a nostra disposizione) e su schemi nella catena di creazione del valore sì globalizzati ma meno violentemente delocalizzati solo sulla base del criterio di riduzione dei costi e dell’efficienza finanziaria, forse potrebbe essere l’eredità positiva di questo momento di difficoltà.
Nei meeting via video-conference che ho svolto in questi giorni, infatti, dove non è emersa la preoccupazione per le dinamiche di salute e sociali, mi è parso di intravedere un maggiore consapevolezza ed anche un desiderio di lavorare, comunque, al meglio.
Alcuni interlocutori mi hanno anche evidenziato, magari senza calcare troppo la mano, il fatto che un rallentamento dei ritmi, in fondo, non fosse stato per loro un male assoluto, ma anche appunto un’occasione di riflessione sui propri ruoli, equilibri e vita privata.
Ecco, per tornare all’inizio di questa riflessione, se anche le aziende provassero a riflettere non solo sugli effetti negativi sul loro EBITDA di questo periodo, ma anche su SE ed eventualmente COME trarre un miglioramento nella loro organizzazione (e magari nella vita delle persone che ci lavorano, a tutti i livelli di responsabilità) e sui loro modelli di business, dopo l’onda anomala del COVID-19, forse potrebbe essere anche un’opportunità.
Non ultima l’occasione, rara, di organizzare in modo migliore e più sostenibile i trasporti, le movimentazioni di persone e merci ed i modelli energetici, all’interno di contesti ecologici già compromessi all’alba del XXI secolo.
Forse sì…ed ovviamente sperando che i nostri sistemi reggano al meglio questo urto, che gli Stati e le strutture mondiali che hanno in cura i popoli reagiscano nel miglior modo possibile, contingentando danni e salvando il maggior numero di persone possibili da un’emergenza sanitaria che non si può non combattere insieme, a livello internazionale, con tutti i mezzi a disposizione.
“La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”
(Albert Einstein)