Nuovi tempi, nuovi modelli, nuove energie: una svolta è necessaria (cum grano salis)

Alessio Cini intervista Farhad Alessandro Mohammadi

Dal 2007 ricopro ruoli che mi hanno portato, in vari momenti e con varie finalità professionali, ad incontrare ed interfacciarmi con aziende. O meglio: con persone che rappresentano aziende, con svariati ruoli – di solito, stakeholders dei processi inerenti la mia professione.
Molte aziende: di differenti settori, dimensioni, volumi di fatturato, headcount, modelli organizzativi e tipologie di business (produttive, commerciali, di consulenza, multinazionali) e approcci (imprenditoriali, digitalizzate, manifatturiere “vecchio stile”…).

Negli anni, alla mia funzione di Consulente nelle Risorse Umane e nell’Organizzazione si sono aggiunte le partecipazioni ad Associazioni di categoria, di varia natura e merito, ed il mio “quasi-nuovo” (dal 2018,insomma) status di imprenditore.
Da allora ho conosciuto un po’ meglio il mondo delle Associazioni Industriali: è vero, lì si spende molto tempo e non sempre con un ritorno diretto in termini economici; ma poco importa, perché arricchisce di sicuro da un punto di vista… diciamo della visione di insieme generale.

Ho fatto due conti: ogni anno è composto da cinquantadue settimane, ci cui in media quarantasei lavorative, e dunque posso stimare di avere conosciuto circa (46 settimane X quattro aziende a settimana X 14 anni) duemilacinquecentosettantasei – toh, facciamo circa 2.500- contesti in cui le persone lavorano. Temo che la stima sia al ribasso.

Ho sempre avuto un pensiero sul perché le imprese italiane facciano più fatica ad accogliere il cambiamento ed i modelli di flessibilità che l’attualità necessariamente richiede per non restare indietro nella moderna competizione digitale e globale.
Ci ho riflettuto molto, a lungo: alla base di queste rigidità nostrane credo ci sia, in buona parte ma non solo, un leit-motiv di tipo culturale, nel senso di “cultura di business”. Esso deriva da un modo d’essere più profondo, tipico della nostra Italia. In alcuni casi ci rende più forti, in altri non so quanto.

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Ho un amico, lo conosco da quando eravamo liceali: è testone e visionario e di successo.
Ha fatto del suo progetto di Venture Builder una professione: gli ho fatto sei domande per conoscere il suo pensiero e crearmi, idealmente, un benchmark per il futuro – ed il presente – dell’imprenditoria in Italia.
Doveva essere un’intervista, ma è nata come carteggio via mail. E così abbiamo deciso di pubblicarla, senza tagli o aggiustamenti.

Farhad, quali sono i tuoi valori?

È una domanda complessa. Nel Sun Tzu si dice che un buon “Generale” da leggersi Amministratore delegato se:

Risoluto a morire, può essere ucciso.
Risoluto a vivere, può essere catturato.
Incline alla rabbia, può essere provocato.
Puro e onesto, può essere oggetto d’infamia.
L’amore per i suoi uomini lo rende ansioso.

Sun Tzu, L’Arte della Guerra

Pero, se proprio dovessi, costretto con le spalle al muro, esprimere un valore svicolerei parlando di un “credo“. Io credo nelle persone! Il mio valore principale è la fedeltà a me stesso, qualunque esso sia nel suo presente. Non credo quindi in valori immutabili, credo nel percorrere una via, credo nella ricerca.

Che cosa è un’azienda oggi? Quali modelli segue?

Se come universo azienda prendiamo esempio dalla maggior parte delle aziende allora un’azienda, oggi, è una macchina senza controllo o meglio: è una macchina che persegue il proprio oggetto sociale senza ragionare e senza chiedersi le vere ragioni che la spingono a perseguirlo. Lo persegue perché si è sempre fatto cosi, lo persegue per rendere conto agli azionisti, lo persegue per raggiungere i KPI’S. È una macchina efficiente che ha però perso il suo scopo ultimo, fare il bene. Credo che la maggior parte degli imprenditori parta con l’idea di fare del bene, di cambiare qualcosa e poi si perda (è ciò che succede a tutti noi passando dall’adolescenza all’eta adulta – lo stesso succede alle aziende). È come in Guerre Stellari, il lato oscuro della forza è sempre in agguato. 

Farhad Alessandro Mohamadi è CEO di Mamazen

Che cosa dovrebbe essere un’azienda dal tuo punto di vista?

Un’azienda dovrebbe fare profitto facendo il bene ovvero, tutte le aziende, dovrebbero essere Società benefit. Il fine ultimo di un imprenditore è fare del bene e, nel farlo, guadagnare. Il fine ultimo di ogni azienda quindi dovrebbe essere migliorare il mondo. Allo stesso modo questo dovrebbe essere il fine ultimo di ogni essere umano. Per tornare all’azienda, per perseguire questo obiettivo, bisogna legare il fine ultimo nel DNA dell’azienda in modo da “non perdersi sulla via”. Del resto lo espresse bene John Nash nella sua teoria dei giochi.

Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l’equilibrio c’è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme

John Nash, Teoria dei Giochi

Il problema è che spesso dimentichiamo che, questo insieme, siamo tutti noi. Se tutte le aziende guardassero a lungo termine si capirebbe che si ha più ritorno agendo insieme. Forse avresti voluto una risposta più pratica ma è l’unica che mi sento di dare.

Che cos’è una Transparent Company?

Che cosa è una Transparent Company… Beh Buffer è un esempio lampante, forse dovresti chiederlo a loro. Nella mia visione, essere trasparenti, significa non avere paura quando “il mondo” guarda dentro la tua azienda. È ciò che stiamo cercando di fare in Mamazen.

Non è un passaggio immediato ma lo stiamo facendo. Significa mettere open alla portata di tutti: stipendi percepiti, policy di calcolo degli stipendi, risultati raggiunti, dati finanziari, asset, roadmap dell’azienda. Significa aprirsi al mondo.

A mio parere le società pubbliche (le aziende quotate) e, in generale, tutte le aziende dovrebbero essere trasparenti.

Quale è il futuro dei modelli organizzativi nelle startup?

Sicuramente i modelli classici hanno generato, sul lungo, poca felicità per chi ci lavora. Ritengo che un modello organizzativo, per reggere sul lungo, debba essere basato su diversi pilastri. È fondamentale mettere al centro la persona e questo comporta diversi aspetti:

  • l’ufficio non diventa più il luogo centrale –> vedo, all’orizzonte, organizzazioni totalmente in smart working
  • non più ore di lavoro ma obiettivi e milestones da raggiungere 
  • organizzazione liquida con possibilità di fluire nell’organizzazione

Diciamo che lo sto scoprendo piano piano, e di nuovo, come dice il Sun Tzu, “gli insegnamenti non possono essere tramandati in anticipo” ovvero, nel mio caso, non ho la risposta al tuo quesito.

Dove credi che verranno convogliati i flussi degli Investor dopo questa crisi causata dal COVID-19?

Questo è un altro bel quesito. Se il tuo intento era mettermi in difficoltà ci sei riuscito 🙂 Certamente cambieranno le pre-money. Subiranno, a mio parere, una variazione al ribasso perché nei periodi di crisi vi è spesso paura e la paura fa tirare i remi in barca. 

Con buona probabilità gli investimenti si orienteranno su startup che siano in grado di sopravvivere anche a periodi di lockdown .

Immagino, ma è un puro esercizio di stile senza velleità previsionali, che possano sopravvivere servizi assolutamente necessari e servizi di lusso. Allo stesso modo vedo una crescita dei servizi full digital sempre che rientrino però nelle due categorie precedentemente citate.

La verità è che non è possibile fare previsioni perché, ad oggi, non possiamo definire l’impatto economico con certezza, non possiamo calcolarlo. Il fatto che sia uno shock “simmetrico” aiuta in parte a appianare molte punte ma il futuro è incerto.

E’ necessario osservare le creste, studiare, attendere con pazienza e prepararsi a cavalcare le onde che si formeranno. Chiudo con una citazione dell’Hagakure (La Via del Samurai). “Quando l’acqua si alza la barca sale”

Farhad

Ora, tornando a noi: credo molto poco nelle “ricette universali fatte di realtà universali e giuste per tutti”: è semplicistico. Fornire soluzioni cotte e mangiate serva solo a mettere un cerotto sulla ferita della naturale paura di tutti verso le incertezze.
Ovvio, è molto dura. Ed è pure molto complesso – all’atto pratico e fuori dagli idealismi – attuare modelli innovativi se si ha solo l’opzione di applicarli a strutture consolidate ed antitetiche in termini ontologici. Tradotto: è più facile costruire una Tesla da zero che non prendere una Panda 4X4 del 1991 e convertirla alla nuova tecnologia.

Ma esistono linee guida che indicano la strada da percorrere: prendiamo Farhad, italiano con sangue persiano e amante dell’universo culturale nipponico e orientale in genere, innovatore ragionante e Founder del Venture Builder Mamazen.
In questa micro-intervista trasmette alcune buone basi comuni per ragionare sul futuro: non solo il futuro dei modelli organizzativi delle nuove aziende che nasceranno in Italia, ma ­una nuova visione, più sostenibile, della vita delle persone nella loro sfera professionale.
Questo non è un tema che chi fa Impresa, oggi, può permettersi di ignorare.

“Lasciamo che il futuro dica la verità, e giudichiamo ciascuno secondo le proprie opere ed obbiettivi”

Nikola Tesla

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